L’Altopiano di Asiago. Un intrico di sentieri e strade militari testimoniano le fasi nervose e cruente della Prima Guerra Mondiale
L’Altopiano di Asiago nella Prima Guerra Mondiale è stato un complesso e cruento campo di battaglia senza soluzione di continuità apparente. Da qui è stato sparato il primo colpo di cannone della guerra. Da quel giorno mai più una tregua.
I forti Campolongo, Verena, Corbin, tutti uguali, tutti costruiti con le stesse logiche, tutti troppo sicuri della loro supremazia, iniziarono il fuoco di preparazione sulle linee di confine col Trentino colpendo spesso anche i piccoli centri abitati sulle montagne.

Questi forti sono tutti visitabili e facilmente raggiungibili, a volte includono un museo e molte aree ben conservate, a volte sono poco più che rovine causate in egual misura da guerra e recuperanti.

Per ovvi motivi erano serviti da una strada camionabile che doveva trasportare approvvigionamenti e pesantissime munizioni, che saliva da posizione protetta e defilata. Queste sono diventate il nostro sentiero principale d’accesso.
I forti sono perciò tra i luoghi più panoramici e più facilmente raggiungibili. Visitarli per la prima volta è un’avventura, costruiti come sono da poco decifrabili stanze, corridoi e cunicoli di collegamento che portano dopo decine e decine di metri in posizioni avanzate per il tiro di mitragliatrici o per l’osservazione.
Discorso simile vale per quelli austro-ungarici anche se di architettura molto diversa da quella italiana. Più moderni, più solidi, degli ossi veramente duri da rodere per quelli italiani che vi tiravano alla grande. Forte Luserna aveva messo fuori bandiera bianca ma il vicino forte alleato Busa Verle lo prese a cannonate quando gli italiani vi stavano per arrivare e nemmeno quello fu completamente fatto fuori.
Essendo stati oggetto di intensi bombardamenti, i loro dintorni per un raggio di un centinaio di metri sono costellati di crateri che ormai si fondono coi boschi e coi prati, crateri a volte profondi più di tre metri. Come diavolo poteva una granata spostare una tale quantità di terra? Erano i colpi da 300 mm sparati da cannoni appositamente costruiti per distruggere questi forti.

Fecero molto bene il loro dovere, trasportati di notte nelle piane del Vezzena, i cannoni di grosso calibro austro-ungarici trasformarono la vita dei soldati in questi forti in un film dell’orrore.
Eppure qualche chilometro gli italiani riuscirono ad avanzare anche qui sui monti del Trentino prima di essere bloccati e rispediti indietro, ancor più che al mittente, dalla Strafexpedition.
Così i nostri rinculano 10-20 chilometri più indietro fino a districarsi tra le Melette di Gallio, il monte Ekar, il monte Corno, Kaberlaba, Bocchetta Paù e lì resistono e resistono finché il nemico decide che il piano di invadere la pianura Padana è andato (o rimasto) a monte e stavolta rincula esso stesso qualche chilometro più indietro, scegliendo i monti migliori dove attestarsi.
E così, fase dopo fase, i segni sul territorio aumentano, ogni nuovo fronte richiede le sue trincee, le sue caverne, le sue strade, i suoi ricoveri. L’operazione K che tenta di rovesciare questa situazione di stallo si infrange sulle linee austroungariche, sull’Ortigara, sul Chiesa, sullo Zebio di Emilio Lussu.
E si arriva a Caporetto e nell’ottobre del ’17 il fronte sull’altopiano subisce un nuovo arretramento, a sud di Asiago nell’intenzione dell’esercito italiano di accorciare il più possibile il fronte.
La trincea austriaca e quella italiana a volte distanti 300 metri, a volte 200, a volte 40, così vicine che non era sicuro nemmeno osservare il nemico da uno spioncino largo 1 cm su una piastra corazzata. I fucili di precisione su cavalletto erano così ben tarati da centrare quasi ogni volta quel minuscolo foro quando venisse scorto un movimento dietro di esso.
Le pietraie del Caldiera e dell’Ortigara scolpite in questa fase sono il posto migliore per osservare questo districarsi infinito di percorsi e scoprirne poi, avvicinandosi la loro dimensione verticale, con cunicoli che entrando nella trincea sbucano decine di metri più in basso diventato avamposti per i mitraglieri.
I numerosi baiti e rifugi consentono di pianificare trekking di più giorni, percorrendo per esempio tutta la via alta dell’altopiano su un sentiero incredibile da dove si può apprezzare per intero la visuali sull’Altopiano di Asiago e lo strapiombo duemila metri più in basso della Valsugana.
La Regione Veneto con il programma dell’Ecomuseo della Grande Guerra ha dato grande impulso all’esplorazione di queste zone. Le operazioni di ripristino assieme alla installazioni di esaurienti tabelle che spiegano fatti, antefatti e mostrano mappe che permettono di interpretare facilmente la zona di guerra, richiamano turisti ed escursionisti di ogni parte del mondo.
Aiutano a dare un significato a quei luoghi e a comprenderne meglio la natura, quella umana compresa.