I sentieri e i paesaggi della Strafexpedition. Camminando tra l’impeto austro-ungarico e il dissopito orgoglio italiano
Quando si iniziano a percorrere i sentieri sull’Altopiano di Asiago o quelli sul Pasubio e ci si inoltra nelle zone meno abitate a nord di Asiago o si inizia a percorrere la strada delle 52 gallerie o la Strada degli Eroi sul Pasubio fatichiamo a dare un senso a tutti quei manufatti, a quelle trincee infinite ai tanti segni sul terreno.
La prima guerra mondiale somigliò sugli altopiani alla risacca sulla spiaggia, con gli eserciti avversari he passarono e ripassarono sugli stessi luoghi lasciando come fa l’onda del mare i loro resti e le loro memorie.
L’Italia entra in guerra con lo scopo di avanzare e rivendicare il possesso di territori dell’impero austro-ungarico. Sul fronte Trentino l’avanzamento è di pochi chilometri e arriva a comprendere qualche paesino di montagna poco oltre i confini Veneti. A est si arriva ad oltrepassare il paese di Caporetto, località che diventerà tristemente nota un anno più tardi.
Una difficile avanzata scarsamente sostenuta dagli artiglierie che non produce progressi significativi se non quello di tenere impegnato l’avversario per l’obiettivo più importante a est sul Carso come la prossima conquista della città di Gorizia.


Questa è la prima onda che si infrange sulla spiaggia, ondata che viene respinta un anno dopo dall’offensiva degli altopiani o Strade Expedition e che ricaccia l’esercito italiano più indietro di dove era partito, una ventina di chilometri o poco meno dentro i confini italiani.
Dall’Adige al Brenta, con l’obiettivo di rovesciarsi sulla Valdastico e sulla Valsugana in primo luogo e scendere attraverso l’Altopiano di Asiago. l’esercito austro-ungarico dedica ingenti forze in un arco iniziale di un mese circa.

Una azione ben congegnata che però sottovaluta la difesa italiana che costringe il nemico ad uno sforzo inaspettato. Pasubio, Monte Cengio, Lemele e più a nord: Zebio, Melette, Monte Fior, Ortigara solo per citare alcuni luoghi, sono stati il teatro dell’avanzata prima e del ripiegamento poi del nemico.
Così “l’onda” ripercorre il tragitto inverso e il mare si assesta in una posizione di equilibrio rappresentata da alture più propizie servite da apparati logistici in grado di fornire una base di appoggio solida alle truppe austro-ungariche. nel luglio 1916 termina l’impeto offensivo.
Questa tempestosa fase della guerra sugli altipiani lascia i segni più importanti. Come conseguenza di tale attacco, gli italiani si apprestano a costruire opere difensive, infrastrutture logistiche, punti di osservazione avanzati che segnano in modo indelebile il territorio.
Dall’altra parte gli austroungarici rafforzano quelle linee di assestamento che renderanno le loro posizioni inespugnabili dalla contro-offensiva italiana come mostra il vano attacco sulla linea Ortigara-val d’Assa un anno dopo (vedi battaglia dell’Ortigara).
Sul Pasubio e sul Cengio troviamo fenomenali opere belliche che oggi rappresentano dei sentieri incredibilmente spettacolari ed esempi molto ben ripristinati di quella che era l’organizzazione militare nel combattimento e nella logistica.


Su Monte Interrotto e sul Monte Mosciagh rimangono dei cimiteri di guerra immersi nei boschi che mostrano il lato più commovente e riflessivo della guerra.
Sulle morbide cime dello Zebio possiamo apprezzare l’opera ingeneristica dello scavo delle trincee e la loro precisa organizzazione strategica. Le Melette, osservatele con Mappe o Google map e ne vedrete ben evidenti centinaia di crateri a testimonianza dei furibondi combattimenti.
Troviamo ancora sul Pasubio e sull’Altopiano di Asiago i segni ben visibili della “guerre delle mine”, inumana forma di combattimento, che è riuscita a cambiare la fisionomia di alcune sommità.
Caldiera e Ortigara al culmine nord dell’Altopiano ci mostrano un intrico di sentieri e strade di montagna tra la foresta e il paesaggio carsico fino al dirupo della Valsugana.
Sono le trincee, le strade di arroccamento, i sentieri che in quei periodi violenti erano frequentate da migliaia di soldati sotto il tiro di artiglierie di incredibile calibro. Dopo 100 anni e un numero infinito di alberi ripiantati dopo la Prima Guerra Mondiale, questi segni si confondono col territorio e passano inosservati a chi non conosce lo svolgersi degli eventi bellici.

In questa fase i forti italiani vengono ridotti a dei ruderi e testimoniano molte bene l’impatto che ebbe quella avanzata. Sono facilmente raggiungibili attraverso stradine in lieve pendenza e si trovano sempre in prossimità dei punti più panoramici dell’Altopiano. Sono una meta molto interessante sia d’estate che d’inverno.
Forte Corbin presenta anche un museo al suo interno e aree di sosta nell’area circostante. Ora è un luogo idilliaco ma le buche larghe 6 metri e profonde 3 e le brecce sul cemento armato testimoniano l’inferno.
Forte Campolongo con le sue cupole ricostruite assume quasi l’aspetto di un gigantesco monumento e i suoi incredibili cunicoli di collegamento a punti di osservazione su più livelli rappresentando una piccola avventura per il visitatore.

Forte Verena porta forse il ricordo più drammatico perché, ancora prima della Strafexpedition Expedition, un solo proiettile fece scempio di 40 soldati italiani. Ora, al punto di arrivo di una seggiovia, con le piste da sci che partono irrispettosamente dai suoi paraggi, con un rifugio ben attrezzato a fianco, è uno dei più visitati.
L’imponente dorsale del Portule, non fu di per sé teatro di cruenti scontri ma fu uno degli obiettivi più strategici al contempo e vide il passaggio di battagliano austro-ungarici e italiani nel tentativo di conquistare e riconquistare quei luoghi.
La Kaiser Karl Strasse che portava uomini e rifornimenti da Malga Larici fino quasi all’Ortigara è oggi un percorso molto suggestivo dal quale si aprono panorami unici sull’ambiente carsico tra Bocchetta Portule e l’Ortigara. Attraversa luoghi che divennero delle cittadelle di retrovia austroungariche collegate in modo rapido fino alla Valsugana da una imponente opera di teleferiche le cui solidissime basi sono ormai parte delle rocce.
Con l’arresto della Strafexpedition quando il nemico stava a un passo dallo scendere sulla Pianura Padana, gli italiani infliggono un duro colpo all’avversario. Il suo logoramento, così come il rafforzato morale delle forze italiane saranno determinanti per le sorti del conflitto.
Dopo la rotta di Caporetto anche qui le linee italiane subiscono un arretramento e gli austro-ungarici tornano nuovamente a occupare territorio in precedenza liberato. E non è ancora pace negli altipiani. Nuovi attacchi furibondi ed episodi di estrema resistenza si preannunciano per l’ultimo anno di guerra.