La Prima Guerra Mondiale. Sentieri, confini, ferite, ricordi
Il teatro di Battaglia della I Guerra Mondiale in Italia, vide coinvolte le regioni Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, allora dominio dell’impero Austro-Ungarico. Lungo i confini di queste regioni si svolsero le principali battaglie con l’eccezione del periodo “dopo Caporetto” quando nel novembre 1917 il fronte italiano arretrò a est lungo il Piave .
Quando si viaggia in questi luoghi è impossibile non incrociare una strada militare, una trincea, un forte o scorgere altri segni della guerra. Molti non ne fanno caso, magari passano a fianco di un versante completamente costellato di crateri di esplosioni o di strani solchi e li considerano come un aspetto morfologico naturale del terreno.

Negli ultimi anni la Regione Veneto ha dato vita a un notevole progetto denominato Ecomuseo della Grande Guerra che ha fatto diventare i luoghi delle principali battaglie dei musei all’aperto dove, oltre al contatto con i manufatti bellici ripristinati, è possibile leggere su apposite tabelle esaurienti spiegazioni e mappe dei luoghi di battaglia.
Anche la regione Trentino ha fatto un notevole lavoro di ripristino in vista del centenario della guerra ne sono esempi il restauro del forte Luserna, Spitz Verle e la collocazione di numerose indicazioni e la pulitura di lunghi tratti di trincea.
Ecco che questi strani segni nel terreno assumono anche per i più distratti una identità precisa così che a consapevolezza acquisita ci accorgiamo della presenza di un intreccio infinito di solchi e di un martellamento maniacale che sembrano i segni del bulino sulla padella di rame.
Un gran lavoro che ha arricchito enormemente l’esperienza dell’escursionista e che ha fatto diventare queste aree, come era nelle intenzioni, un museo a cielo aperto che percorre praticamente tutto il confine in particolare tra Veneto e Trentino, che unisce cultura, storia e natura.

Mio nonno mi parlava spesso del suo periodo di guerra, quando a 18 anni, ragazzo del ’99 fu coinvolto nell’offensiva finale di Vittorio Veneto. Mi raccontò di essere stato ferito lungo il passaggio sul Piave nella sua prima azione di guerra, una pallottola lo colpì di striscio alla fronte facendogli diventare il volto una maschera di sangue. Tra l’orrore dei commilitoni, venne ricoverato in un ospedale delle retrovie, la ferita era spaventosa ma superficiale e quando fu dimesso la guerra era finita.
Nella sua soffitta ricordo custodiva una cassa con vari cimeli del periodo. Ricordo in particolare un grosso coltello “da macellaio” che solo più tardi scoprii essere una daga austriaca. Praticamente una spada usata negli assalti e in particolare per finire il nemo ferito, magari dai gas o dai lanciafiamme. A fatica riuscivo però a collegare quegli “arnesi” con una guerra moderna.
Col senno di poi capisco che quella persona come tanti che hanno fatto la guerra porta con sé dei ricordi che la gente non è molto propensa ad ascoltare e chi li ha vissuti non è spesso capace di afferrarli con tutta la loro chiarezza.
Questi aspetti crudeli: le spade, le mazze ferrate, le tagliole, arnesi da guerra medioevale, assieme alla tecnologia delle mitragliatrici, dell’aereo e delle sostanze chimiche, danno una caratteristica che mi ha sempre fatto apparire tale conflitto quasi indecifrabile.
La Prima Guerra Mondiale fu una guerra a cavallo tra modernità e antiche concezioni. Lo svolgersi delle operazioni belliche sui nostri monti ne fu un esempio, una guerra con l’obbiettivo ossessivo di conquistare i punti più alti per aver controllo sulle vallate.
Strategia generale che subì un durissimo colpo quando nei pressi di Caporetto, l’esercito austro-ungarico con l’aiuto di un grosso contingente tedesco, invece che intestardirsi contro le cime occupate dagli italiani le aggirò prendendo gli italiani stessi alle spalle e irrompendo nella pianura costringendo a una precipitosa rotta l’esercito italiano. Un anticipo di guerra moderna.
Dopo lo sgomento e la confusione iniziale è giusto riconoscere allo stato maggiore italiano grandissime qualità strategiche e morali avendo saputo riorganizzare la difesa su una organizzatissima linea difensiva e aver riunito il morale delle truppe verso uno scopo condivisibile e trascinante: non più una guerra d’invasione, ma una guerra contro l’invasore.

In questa situazione perfettamente capovolta, l’esercito italiano trovò morale, mezzi e il sostegno dell’opinione pubblica. Dopo anni di guerra e centinaia di migliaia di morti, un motivo vero per combattere e una possibilità di vittoria Gli italiani riuscirono così a inchiodare il nemico su luoghi passati alla storia: Piave, Montello, Monte Grappa, Asiago, Pasubio, Adamello, Ortles, su un fronte che andava dal mare ai ghiacciai, fino a farne esaurire le risorse belliche e logistiche contrattaccando in seguito, sostenuto da uno sforzo industriale enorme per quantità e qualità dei mezzi messi a disposizione.
La rotta precipitosa del nemico, con le proprie retrovie minacciate da fame e diserzione e con l’esercito italiano incalzante fu la conclusione logica della guerra nel novembre 2018. La firma dell’armistizio, quasi qui dove mi trovo, a Villa Giusti, Abano Terme, lo sancì.La Prima Guerra Mondiale lascia tracce più evidenti e meno oggettive dei ricordi, quelli che con la maturità di oggi avrei chiesto con più dettaglio possibile a mio nonno.
I confini tra le regioni coinvolte, in particolare tra Veneto e Trentino, sono percorsi da cicatrici che possiamo anche chiamare trincee. Sono punteggiati da luoghi di memoria che possiamo chiamare anche cimiteri di montagna. Sono irruviditi da ruderi e mura che possiamo chiamare forti.
Una guerra sporca, confusa, pasticciata, fatta di tanti che potevano solo scegliere di morire e di pochi che morivano per scelta, per completare l’opera degli eventi risorgimentali in nome di una Italia non perfettamente unita e non veramente completata.
In molti su quelle trincee hanno capito cosa significasse uccidere ed essere uccisi e la differenza sottile, se c’è, tra uccidere un nemico e commettere un assassinio. In molti si sono sforzati di mantenere questo distinguo e di comportarsi in modo leale e contestualmente etico.
Non sono rari gli episodi di scambio di beni di sostegno tra truppe nemiche o di mancati ordini di fare il fuoco su soldati isolati e indifesi. Sono abbondanti anche gli scritti di apprezzamento per il comportamento del corrispettivo avversario in varie circostanze che hanno mostrato che gli atti di generosità o se vogliamo di eroismo non erano semplice propaganda.
Celeberrimo al tal proposito l’episodio narrato da Emilio Lussu nel suo libro Un anno sull’Altopiano, “italiani, bravi soldati, non fatevi uccidere, tornate indietro”, gridavano gli austriaci dalla trincea verso le truppe italiane vedendo gli italiani cadere uno dopo l’altro in un improbabile assalto.
Questo e migliaia di altri episodi sono accaduti proprio qui, proprio sui tuoi passi. Queste caverne, queste trincee, queste buche profonde 3/4 metri dureranno più delle rovine dell’Impero Romano scolpito nel marmo. Sono questi i veri mausolei dei nostri caduti italiani e austriaci, sono i piccoli cimiteri nei boschi a dare dignità e giusta memoria piuttosto che i boriosi sacrari al servizio della gloria fascista che a volte deturpano le sommità delle alture più belle.
Potessi raderli al suolo e riportare tutti quei poveri resti nei boschi… I governi riescono a trovare modi per usare le persone sia da vive che da morte. Uccidono le persone e poi fanno loro un monumento per dire ai vivi che la guerra in fondo è bella e che il ciclo può continuare.
Godete piuttosto dell’ombra delle foreste, dell’odore degli abeti e dei pini, della sensazione della roccia sotto i piedi e tra le mani, del vento freddo che soffia nelle cime più brulle, dell’acqua che potete bere gratuitamente e quando arrivate lassù alzate un calice a coloro che vi sono saliti nella disperazione e a coloro che non vi sono mai potuti arrivare perché essi sono in pace.
Questo è tutto ciò che rimane di buono e che vale la pena di celebrare della “Prima Idiozia Mondiale”. La guerra non è bella anche se fa male ma molti luoghi che assistettero alla sua distruzione sono stupendi e la natura assieme all’uomo è riuscita perfino a dare un senso a quei resti.
— Carlo Gislon